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FEDERICO II, MELFI, IL CASTELLO E LE SUE COSTITUZIONI

Federico II nacque a Jesi il 26 dicembre 1194, (MCXCIV). Nipote del grande imperatore Federico I detto ”Barbarossa” imperatore del Sacro Romano Impero (in carica dal 18 giugno 1155 al 10 giugno 1190), re di Germania (in carica dal 4 marzo 1152 al 18 giugno 1155) e re d’Italia (in carica dal 1155 al 10 giugno 1190; data in cui morì). Federico II fu re del regno di Sicilia (in carica dal 27 novembre 1197 al 13 dicembre 1250), re del sacro romano impero (in carica dal 22 novembre 1220 al 13 dicembre 1250), re di Gerusalemme (in carica dal 9 novembre 1225 al 13 dicembre 1250), re di Germania (in carica dal 25 luglio 1215 al 22 novembre 1220) e fu re d’Italia ma non lo fu mai ufficialmente riconosciuto. I genitori furono Enrico IV e Costanza d’Altavilla da cui, Federico II ereditò tutti i regni. Federico, fu un grande imperatore e fece costruire castelli in tutto il meridione, soprattutto, come quello di Foggia, che ora non esiste più perché distrutto da dei terremoti, castel del Monte, in Puglia, il castello svevo-normanno di Melfi. Il castello di Melfi che nel 1042, venne fatto edificare da Guglielmo d’Altavilla. Il castello di Melfi ospitò 4 concili papali e, nel 1089 venne bandita la prima crociata. Dopo poco più di un secolo, arrivarono in Lucania gli svevi con Federico II che scelse come residenza anche il castello di Melfi che però venne ampliato e restaurato. Oggi ,noi per entrare nel cortile del castello utilizziamo un ingresso che, all’epoca di Federico II non esisteva, infatti l’accesso principale si trova dietro al castello (oggi non accessibile perché in fase di restauro), e venne costruita nei secoli successivamente. Nel 1930 una fortissima scossa di terremoto (6.6 _ X grado scala Mercalli) distrusse la torre dell’orologio che venne subito ricostruita. Il castello di proprietà dei

LE COSTITUZIONI MELFITANE DEL 1231 – TESTO DI FEDERICO MESSANA DA STUPORMUNDI.IT

Rifacendosi alle riforme attuate nel 1220, Federico ordinò la revisione dei titoli e dei privilegi di cui godeva la feudalità, sia per eliminare abusi ed usurpazioni, ma anche per diminuire il peso della loro autorità. Per tutto il 1231 furono fatte inchieste e processi; lo stesso Rinaldo di Urslingen, duca di Spoleto, riconosciuto colpevole di avere male amministrato l’erario e persino di avere, in assenza dell’Imperatore, complottato con lo stesso Papa, fu condannato alla confisca dei beni. Come ricorda Riccardo di S. Germano, fu dichiarata una lotta accanita contro: “Falsariis, aleatoribus, tabernariis, omicidiis, vitam sumptuosam ducentibus, prohibitis arma portantibus et de violentiis mulierum”.L’opera prima di Federico fu di avere studiato e promulgato un corpo organico di leggi, anche se precedentemente non erano mancate isolate disposizioni di carattere locale e contingente. Per ordine dell’Imperatore, le nuove leggi furono promulgate dal giustiziere Riccardo da Montenero, il 1° settembre del 1231. La raccolta delle leggi é contenuta nel Liber Constitutionum Regni Siciliae o Liber Augustalis, ma comunemente vengono chiamate Costitutiones Melphitanae, dalla città di Melfi, dove vennero promulgate. Tuttora si discute sulla giusta attribuzione della paternità della raccolta di queste leggi, poiché lo stesso Federico ne vanta il merito. Appare però autore anche l’arcivescovo di Capua, Giacomo Amalfitano, dal momento che lo stesso Gregorio IX in una lettera lo rimprovera di avere inserito disposizioni avverse agli interessi della Chiesa. Il vero artefice, secondo la tradizione, dovrebbe essere Pier delle Vigne, anche se si è propensi a credere che tutta la raccolta sia stata frutto di un lavoro collettivo durato alcuni mesi.

Il Liber Augustalis si fonda sul diritto romano, ma vi trova spazio anche la tradizione normanna dal momento che vi sono inserite ben 65 leggi che si rifanno a quella cultura ed a quelle consuetudini. Il codice ebbe grande risonanza e diffusione nel regno, visto che fu tradotto in greco per essere meglio compreso ed applicato da buona parte della popolazione che parlava questa lingua.

Una edizione delle Costituzioni melfitane.

Secondo Besta, il Liber Augustalis rappresenta il più grande monumento legislativo laico del Medio Evo, mentre per Kantorowicz “è l’atto di nascita dello stato amministrativo moderno”. Con queste leggi, che riaffermano l’universalità del diritto romano, Federico, che si ispira a Cesare, a Teodosio ed a Giustiniano, vuole combattere la frammentazione dello stato feudale eliminando i poteri intermedi ed avocando a sé ogni prerogativa di potere, unico ed indivisibile.

Le Constitutiones sono divisi in tre libri (255 titoli): il primo riguarda il diritto pubblico (109 titoli) il secondo, la procedura giudiziaria (52 titoli) il terzo, diritto feudale, privato e penale (94 titoli) Secondo Federico, la funzione dell’Imperatore, che in base alla sua mistica concezione è il rappresentante di Dio sulla terra, è di dirimere le discordie e di reprimere, utilizzando le leggi per portare l’uomo sulla retta via. Della Sicilia, non ancora disgregata da forze feudatarie, vuole fare uno Stato modello, d’esempio a tutti gli altri regni. Ecco il contenuto a grandi linee: • il potere regio viene ampliato, per cui baroni e città sono privati dei diritti che si erano attribuiti abusivamente; la giustizia penale appartiene al re ed ai suoi magistrati; • divieto di portare armi senza autorizzazione • non è permessa la vendita dei feudi, in quanto appartengono allo Stato; • gli ecclesiastici sono soggetti ai tribunali comuni, non possono giudicare gli eretici, non possono acquistare terre; se ne hanno in eredità, devono venderle; • le città non possono costituirsi a comune, eleggere consoli o podestà, pena il saccheggio e la condanna a morte per i capi; • tutti i sudditi devono pagare i tributi regi; • sancisce l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, difende i deboli contro le prepotenze baronali, abolisce il giudizio di Dio, organizza la magistratura e gli uffici. In tutto ciò appare la modernità di Federico che, superando la concezione feudale germanica, ritorna alla tradizione romana affermando l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Federico elimina il potere dei baroni, del clero e delle città, e tutte le funzioni giuridiche ed amministrative vengono esercitate dal re per mezzo di una organizzazione burocratica centrale, posta alle sue dipendenze. I magistrati sono stipendiati dallo Stato ed eletti per un solo anno, salvo riconferma. Per garantire gli introiti necessari alla vita del regno, crea un saldo sistema finanziario, basato sulle imposte dirette, con organi incaricati della riscossione. Organizza inoltre un esercito regolare di Saraceni, per non dipendere dai baroni e dai comuni che spesso si sottraevano agli obblighi di fornire la milizia. Ordinamento politico: gli organi centrali sono il Sovrano, i grandi ufficiali della Corona, la Magna Curia ed il Parlamento. Al vertice sta il re, il solo che possa fare le leggi, dal momento che il suo potere gli deriva direttamente da Dio. Al suo fianco stanno i grandi ufficiali della Corona, i moderni ministri con funzioni ed attribuzioni ben definite. Questi erano cinque presso la corte normanna, ma Federico ne aggiunge altri due. E qui risiede la sua modernità: i ministri non sono scelti tra i nobili feudali, come avveniva in passato, ma tra la gente di cultura, come notai e giuristi. Essi sono così chiamati: Grande Ammiraglio, Gran Protonotaro o Logoteca, Gran Camerario, Gran Siniscalco, Gran Cancelliere, Gran Connestabile, Maestro Giustiziere. La Magna Curia, sotto il Maestro Giustiziere, rappresenta la Suprema Corte di Giustizia, con funzioni ispettive e di controllo su tutti i funzionari. Il Parlamento, infine, era un’assemblea generale alla quale potevano partecipare, i feudatari, i rappresentanti delle Università, ed i Comuni demaniali, per essere messi a conoscenza delle leggi promulgate dal sovrano e non per discuterle od approvarle. Potevano però fare presente eventuali necessità. Così infatti Federico scriveva ai Comuni demaniali: “Duos nuntios vestros ad nostram presentiam destinatis, qui pro parte vestrum omnium serenitatis vultus nostri prospiciant et nostram vobis referant voluntatem”. Ai Parlamenti generali o Curie, fanno riscontro le assemblee provinciali, presiedute da un giustiziere. Amministrativamente il Regno era diviso in due capitanerie generali ed in undici giustizierati che, grosso modo, corrispondevano alle attuali province. Il giustiziere aveva vasti poteri amministrativi e giudiziari, ed era coadiuvato da giudici e notai nominati dal re. In questo modo la potenza e l’autonomia dei baroni era ridotta a quella di un funzionario regio, sotto il controllo del giustiziere. I comuni aspiravano evidentemente ad avere una certa autonomia, come le città dell’Italia settentrionale (more civitatum Lombardiae et Tusciae); ma Federico non poteva certo concedere alle città siciliane l’autonomia che vantavano i comuni del nord che andava combattendo: pena la loro distruzione. Infine i baiuli ed i giudici, eletti dal potere centrale, esercitavano il loro potere nelle città, considerate come demaniali, quindi possedimenti dello Stato. Al vertice delle finanze c’era la Magna Curia Rationum, una specie di corte dei conti, con funzioni ispettive; mentre accanto al giustiziere vi era un camerario. Sono introdotti i monopoli sul sale sulla seta, sul ferro e sul grano, ma sono abolite le dogane interne, per facilitare i commerci tra le varie province; mentre sono ridotti notevolmente i privilegi commerciali che godevano Pisa e Genova. Vengono unificati pesi e misure (1231: per totum regnum pondera et mensurae mutantur, ponuntur rotuli et turni.) coniate monete d’oro, dette “imperiali” ed “augustali” (Imperiali nel 1222, ed Augustali nel 1231), ricostruita una flotta, ed invogliata l’agricoltura con l’introduzione di nuove culture (cotone, canna da zucchero) e la costruzione di masserie. Dopo questi provvedimenti in tutto il Regno di Sicilia si nota il rifiorire della vita economica, e quindi un certo benessere.

Il castello di Melfi, nel 1531 l’imperatore Carlo V donò il feudo di Melfi ad Andrea Doria come ricompensa del servizio prestato verso di lui. Il castello rimase di proprietà dei Doria fino al 1954, precisamente il 24 aprile di quell’anno. Oggi il castello è un museo dov’è racchiusa la storia del vulture-Melfse.

Testo scritto da Marco Venezia

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